In queste settimane in giro per l’Italia incontro molti commerciali, diversi colleghi, figure professionali diverse; insomma, normali settimane lavorative fatte di aule, di incontri con clienti che ci dicono di no, incontri con clienti che ci dicono di sì, incontri con clienti che ci dicono di forse e soprattutto incontri con molti, moltissimi professionisti del settore vendite e consulenza.

Proprio uno di loro mi ha raccontato la settimana scorsa una storia che, se non fosse per la professionalità della persona, risulterebbe poco credibile.

Il partecipante alla nostra aula, in un percorso sulla bugie nella trattativa ed il relativo linguaggio del corpo, mi racconta di come sia stato “gentilmente costretto” ad allontanarsi dalla società con cui collaborava già da qualche anno a causa di insanabili fratture con un collega, forse meno bravo di lui ma certamente meglio radicato nella struttura aziendale.

“Mi pare proprio impossibile” scrollava la testa Andrea C. mentre finiva in mia compagnia il suo caffè “chi sono le persone che desiderano il nostro fallimento? solo i nostri competitor più abbietti  o anche il nostro vicino di scrivania roso dall’invidia?”

[Tweet “chi sono le persone che desiderano il nostro fallimento?”]

La storia di Andrea è in qualche modo esemplare, per questo mi permetto di riportarla su queste pagine. La collaborazione in qualità di free-lance di Andrea con la ditta X comincia nel 2011 e prosegue su binari solidi, fatti di buoni risultati, di solide collaborazioni e di reciproca stima e correttezza. Ed è all’interno della ditta X che Andrea comincia a rapportarsi con Giulio, che nell’azienda è capo struttura.

Andrea è un buon professionista e, di miglioramento in miglioramento,amplia le proprie collaborazioni anche al di fuori della ditta X, sempre con correttezza e professionalità. Questa crescita non passa inosservata a Giulio che,  complice anche di un momento di difficoltà nei rapporti con l’azienda X, chiede a Andrea uno spazio, una collaborazione, insomma un’opportunità per crescere.

“Non era possibile, in quel momento” mi dice ancora Andrea a caffè ormai finito “mentre io ero un consulente esterno free-lance, Giulio dell’azienda X era ed è un dipendente, non potevo certo portarlo a lavorare con me violando non solo il codice deontologico ma anche il rapporto fiduciario e gli equilibri di correttezza interni all’azienda X”

Da quel momento per Andrea comincia la discesa verso il basso nella gerarchia aziendale: sempre meno margini, sempre meno riconoscimenti, sempre meno coinvolgimento nelle dinamiche aziendali, capacità commerciali non riconosciute, premi produttivi, benefit, tutto lentamente scompare.

“Mi ha impressionato perchè Giulio non ha mai avuto parole profondamente negative per me, non siamo mai arrivati ad uno scontro/confronto che fosse chiarificatore, anzi, il nostro rapporto è continuato tra sorrisi e cordialità. Solo che Giulio era evidentemente invidioso che il mio lavoro funzionasse anche lontano da lui, era arrabbiato che a lui non avessi voluto dare questa opportunità e non mancava modo di farmelo pesare” .

[Tweet “Giulio era evidentemente invidioso che il mio lavoro funzionasse”]

Oggi Andrea ha sviluppato le altre consulenze mano a mano formatesi negli anni, ma ancora la storia dell’azienda X e di Giulio gli tornano in mente

“E’ così difficile oggi il mondo del lavoro. Non solo costruirselo, trovarselo, farlo funzionare, ma anche dall’altro lato,  per le aziende trovare personale di fiducia, preparato, che sappia realmente portare fatturato all’impresa non è facile, tutt’altro. Allora perchè lasciare che qualcuno se ne vada solo per simpatia, antipatia o peggio ancora per invidia?”

La domanda è tutt’altro che banale e potrebbe aprire una lunga discussione.

Studiamo, ci prepariamo, cerchiamo di essere buoni commerciali, buoni venditori, ottimi professionisti e vestire i panni dei consulenti irreprensibili, siamo pronti a combattere con la crisi, con le pastoie burocratiche, con la concorrenza non sempre corretta e con i clienti, non sempre disposti ad ascoltarci e meno che mai a comprare; ma nelle dinamiche di azienda spesso qualcosa ci sfugge….

[Tweet “i clienti non ti ameranno se i tuoi dipendenti non ti amano!”]

Un adagio molto in voga nell’attuale mondo del lavoro dice i clienti non ti ameranno se i tuoi dipendenti non ti amano!.

Giusto, giustissimo. Ma le aziende, amano i propri dipendenti e collaboratori ?

Non sempre, se la mia empirica e disfunzionale personalissima ricerca ha ragione; tra i commerciali, venditori e consulenti in genere che ho incontrato in questo inizio anno, ben il 50% ha detto che non si sente per nulla apprezzato o considerato nell’azienda in cui svolge la propria attività. E sono professionisti di livello, persone che portano clientela, fatturato. Sono, oltre che commerciali, veri e propri “opinion maker”

E quali sono i mali più diffusi imputabili alle aziende?

Il ritardo nei pagamenti, travestito con la mitica frase “c’è la crisi…” è la madre di tutte le lamentele;

Ma anche la carriera che non si muove, i mancati riconoscimenti di competenze, le difficoltà tecnico-burocratiche e, non ultime eccole tornare, le beghe con i colleghi. Invidie, piccoli dispetti, sottovalutazione di risultati e sopravvalutazione di errori. Tutto fa brodo nell’avvelenarci al vita d’ufficio.

E se sei un commerciale nulla cambia “Una volta mi sono visto rifiutare un premio produttivo a causa di uno scostamento nei risultati dell’ 1%. L’uno-per-cento, dico, su un fatturato portato all’azienda sicuramente importante. Ma in ditta non c’era nessuno che si accorgesse di qualcosa?”  si sfoga ancora Andrea.

Forse sì, forse no: nel caso specifico non so che dire, se non confermare ad Andrea che la sua scelta di allontanarsi dall’impresa X e dal caposettore invidioso è stata la migliore.

Mi permetto però, per le imprese che ci leggono, cinque veloci consigli, una smart-list, per migliorare la qualità percepita dai propri collaboratori free-lance.

  1. NON DELEGATE I RAPPORTI. Non fatevi raccontare da altri come va il vostro free-lance. O per lo meno non prendete tutto come oro colato. Potete valutare numeri, azioni, valutazioni, soddisfazione dei clienti, insomma cogliete le opinioni di tutti ma utilizzate per forgiarvene una vostra, costruita sui fatti.
  2. NON PERDETE I CONTATTI. Quante volte ho sentito dire dai commerciali che incontro “il direttore commerciale sarà un anno che non lo vedo” . Ecco salvo che voi non siate alla guida di un colosso da 250.000 dipendenti questa è una cattiva strada. Qualsiasi collaboratore va valutato (vedi punto 1) ma anche caricato, motivato, spronato da un continuo contatto personale. Non vi dico di arrivare all’alienante telefonata di tutte le mattine alle 8.30, ma proprio non trovate una giornata a bimestre nella quale incontrare i vostri collaboratori?
  3. NON SOTTOVALUTATE I SEGNALI. Un calo nel fatturato, un aumento delle lamentele da parte dei clienti, piccoli segnali di errori continui nel lavoro, una diffusa insoddisfazione, un certo modo di rapportarsi con la struttura: sappiate cogliere i segnali ed intervenire in tempo; a volte basta una bella chiacchierata (avete letto il punto2?) per ricalibrare i comportamenti ed ottenere il meglio dai vostri collaboratori
  4. NON VALUTATE SOLO I NUMERI. Anche i commerciali più incalliti hanno un elemento umano. Scherzi a parte, ognuno di noi è influenzato nelle proprie attività lavorative quotidiane da quello che gli capita fuori dal lavoro. Non limitatevi a dire “Tizio ha venduto il 20% in meno” , magari ne ha buoni motivi: non potete sapere se ha litigato con la moglie, se i figli gli danno pensieri o se magari equitalia sta tentando di pignorargli la vespa del 1982. Non potete saperlo finchè non glielo chiedete, senza preconcetti ma con la volontà di risolvere insieme un problema comune (torniamo ai punti due e tre)
  5. RICORDATE IL RUOLO. Dopo qualche tempo di abitudine passa il concetto che il commerciale sia una figura sostituibile. Che il collaboratore free-lance possa anche essere messo da parte. Che il consulente esterno sia in fondo un orpello costoso e non necessario. Attenzione, non c’è nulla di più sbagliato in questo. Ogni azienda deve funzionare al meglio in tutte le sue gerarchie, dal presidente al più umile degli uscieri, ma soprattutto se produce e distribuisce qualcosa, non deve dimenticare che  il settore commerciale è il vero e proprio motore d’impresa. A che serve fare un prodotto meraviglioso se nessuno poi lo vende? E a che serve investire tempo e risorse per formare i commerciali se poi devo valutarli come carne da macello e farli scappare?

E a voi? cosa è capitato a voi in azienda ? raccontatecelo e condividetelo qui con noi.

[Tweet “#startsfromyou”]



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